Il CBD in bilico: l’Italia verso una regolamentazione restrittiva

Il CBD in bilico

Tra evidenze scientifiche e decisioni governative proibizioniste, ecco cosa sta succedendo nel settore della cannabis light

Nelle ultime settimane il cannabidiolo è sotto i riflettori per un motivo ben diverso dal solito.

In passato l’attenzione nei confronti di questa sostanza era legato prevalentemente alle caratteristiche dei principali prodotti nel campo della canapa legale. Un numero crescente di cittadini si interessava su quali sono gli effetti dei prodotti al CBD, come quelli di Justbob, italianissimo e-commerce del settore, e, di fronte alle informazioni disponibili in base alle ricerche mediche, forse c’era chi si stupiva nello scoprire che questa molecola, nei confronti della quale esiste ancora una certa diffidenza, sia completamente priva di proprietà stupefacenti.

Oggi, invece, il motivo dell’attenzione suscitata dal cannabidiolo è un altro: mentre molte nazioni stanno valutando o addirittura adottando approcci più permissivi riguardo al CBD, l’Italia sembra prendere una direzione opposta, sottoponendo questo composto a una regolamentazione sempre più severa attraverso un nuovo decreto che sta spaccando il Paese in due.

Ne parliamo approfonditamente nel seguente articolo.

Questa la decisione del governo rispetto alla commercializzazione dell’olio di CBD

L’Italia ha introdotto nuove regolamentazioni che vedono il CBD sotto una luce più critica. Con un recente decreto, l’amministrazione Meloni ha categorizzato l’olio di cannabidiolo come potenziale sostanza stupefacente, suscitando reazioni vive da parte del settore e degli esperti legali.

Questo provvedimento si inserisce nella scia di decisioni precedenti che avevano tentato di arginare il fenomeno della ‘cannabis light’. Nel 2020, si era già cercato di includere determinate formulazioni di CBD nella lista dei medicinali, accanto al THC, rendendolo accessibile solo previa prescrizione medica. Questo tentativo aveva suscitato vasti dibattiti e, poco dopo la sua introduzione, era stato temporaneamente bloccato a causa delle proteste dell’industria del CBD.

Il decreto entrerà in azione a partire dal 22 settembre 203, data a partire dalla quale l’olio di cannabidiolo potrà essere commercializzato esclusivamente dalle farmacie nazionali e solo dietro presentazione di un’impegnativa.

Un rapido sguardo all’olio di CBD e alle metodologie di produzione

Prima di proseguire nell’analisi della decisione del governo Meloni, desideriamo offrire al lettore una breve panoramica sull’olio di CBD in modo che anche chi non ha mai sentito parlare di questa sostanza abbia contezza di essa.

Il CBD, o cannabidiolo, è uno dei composti derivati dalla pianta di cannabis e, a differenza del THC, non ha proprietà psicoattive.

In altre parole, questa sostanza non ha nulla a che vedere con gli effetti stupefacenti tipici della marijuana, specialmente dal momento che in Italia viene prodotto a partire da specie di cannabis selezionate in modo da avere una concentrazione di THC non superiore allo 0,2%, in base al dettato della legge 242 del 2016.

La produzione di olio di CBD avviene attraverso la lavorazione delle piante di cannabis light che, una volta mature, vengono raccolte e preparate per l’estrazione. Vi sono diversi metodi di estrazione, tra cui l’estrazione con CO2 supercritico e l’estrazione con solvente, entrambi mirati a isolare e conservare il cannabidiolo dalle altre sostanze presenti nella pianta.

Dopo questo processo, si ottiene un olio che contiene il principio attivo in questione e che può essere utilizzato in varie applicazioni, dalle soluzioni alla formulazione in creme e lozioni.

Le reazioni al decreto sull’olio di CBD

Ritornando al tema principale dell’articolo e, in particolare, alle reazioni suscitate dal decreto di cui sopra, diverse organizzazioni italiane, tra le quali Canapa Sativa Italia, e numerosi stakeholder del settore hanno combattuto fin dal principio contro questi tentativi di regolamentazione, considerandoli non supportati da basi scientifiche solide, a partire dal fatto che tutte le ricerche scientifiche effettuate fino a questo momento dimostrano che il CBD non possiede alcun effetto stupefacente.

È per questo che sono gli stessi organi internazionali, come l’ONU e l’UE, ad affermare che il cannabidiolo non possa essere considerato una sostanza psicotropa e a rischio di abuso.

In particolare, coloro che si oppongono alla decisione del governo Meloni sottolineano che tale decisione avrà un effetto devastante sulle imprese del settore, imponendo onerose procedure di registrazione, in contrasto con le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità riguardo al CBD.

Il contesto amministrativo ha giocato un ruolo cruciale in questi sviluppi, dimostrando come il ‘vento politico’ sembri soffiare nella direzione di continui giri di vite rispetto alla libertà di commercio della canapa legale.

Basti pensare al tentativo del governo di equiparare la cannabis light al tabacco, mostrando una crescente volontà di regolamentazione restrittiva

Diversi eventi, come il festival ‘Canapa Mundi’, inoltre, sono stati oggetto di interventi governativi. Questi tentativi sono visti da molti come una mossa per limitare l’industria emergente della cannabis, nonostante le spiegazioni ufficiali parlino di “migliorare la consapevolezza commerciale”.

La risposta da parte delle associazioni di settore è stata decisa. Oltre alla CSI, anche la Federcanapa sta considerando le prossime mosse per proteggere gli interessi del settore, sottolineando che le restrizioni potrebbero danneggiare solo i produttori nazionali, dato che prodotti simili provenienti da altri Paesi europei potrebbero circolare liberamente in Italia.

In conclusione

La regolamentazione del CBD in Italia è diventata un campo minato di tensioni politiche, decisioni amministrative e sfide legali. Mentre l’obiettivo della tutela della salute pubblica è innegabile e prioritario, la scelta di categorizzare il CBD come una potenziale sostanza stupefacente sembra non avere una base scientifica solida. Ciò ha portato a una collisione frontale tra il governo e un’industria emergente che rivendica la sua legittimità, sostenuta da raccomandazioni e ricerche internazionali.

La vera sfida per l’Italia sarà bilanciare la necessità di regolamentazione con un approccio informato e basato sull’evidenza, evitando allo stesso tempo di mettere a rischio un settore in crescita che potrebbe portare significativi benefici economici. E mentre il dibattito tra il governo e l’industria del CBD continua, gli occhi di tutta Europa saranno puntati sull’Italia, osservando come si svilupperà questo delicato equilibrio tra sicurezza, innovazione e libertà di mercato.